venerdì, Aprile 19, 2024

Riflessioni sparse sull’idea di verità.

Come spesso mi capita, comincio a scrivere senza un linea precisa.
Con un’idea si, anche se, a volte, le idee sono nascoste dal fluire dei pensieri, e quando sono travolte da quello scorrere tumultuoso, si perdono, o si frantumano in parti così piccole che poi è impossibile rimetterle insieme.
Scrivere rallenta i tumulti dei pensieri.

Scrivere aiuta, e questo lo diciamo in molti; poi c’è la parte che non diciamo, solo perché non ce ne accorgiamo, che è la parte per cui: si certo, scrivere ci aiuta, ma ad ognuno in maniera differente.
Che è come dire che da qui in poi, le riflessioni diventano rappresentazione di me stesso e perdono di oggettività. E diventano vere.

Il tema è che la scrittura, come esperienza personale, è un dialogo con se stessi, quattro chiacchiere tra amici.
Scrivere ti costringe a riflettere rallentato i pensieri, un monologo che (tenta) di diventare relazione. E da questi dialoghi, quando il tempo ti è compagno, escono nuove verità, spessissimo differenti da quella (o quelle) che ti appartenevano prima che cominciassi a scrivere.

Ecco, magari parliamo di verità.

Spesso sento: “la verità non esiste”, oppure “la verità è un costrutto della mente”, o anche che “la verità è soggettiva”.
Eppure, nel nostro quotidiano ci comportiamo esattamente all’opposto: si, perché la verità esiste, e ci determina nelle nostre scelte; la verità è assoluta e la viviamo come qualcosa che va oltre i nostri pensieri, la viviamo come universale; e la verità è oggettiva perché abbiamo mille e mille prove che quello che pensiamo, valutiamo, giudichiamo è l’assolutamente vero. La verità è un valore, quindi è scientifica.

Perché la verità è un valore, ci serve.

In questo susseguirsi di pensieri, il concetto di valore è fondamentale: esso infatti è il riferimento comparativo, e quindi decisionale, del nostro cervello.
Quelli che definiamo “valori umani”, quelli per cui ci riempiamo di orgoglio quando diciamo “ho i miei valori”, o “sono una persona con dei valori”, o anche “sono cresciuto con dei sani valori” (che poi sono le stessi concetti che utilizziamo quando vogliamo denigrare qualcuno, magari dicendogli “i tuoi valori fanno schifo” …. o anche peggio), ecco i “valori umani” non sono altro che un escamotage tecnico con cui il cervello sceglie a cosa porre attenzione, e sceglie quale comportamento avere, all’interno di un gruppo, tra i tanti possibili.
E uno di questi valori, forse il più potente, è la verità.

Evviva, ma come si ottiene la verità?

Ed è una domanda importante, visto che ci determina in maniera così forte. Intanto possiamo partire da un dato: per dare senso alla verità dobbiamo crederle.
Già perché le semplici parole, così come le leggiamo, o ascoltiamo, sono solo segni o suoni; per dare loro significato dobbiamo legarle ad un comportamento, ad una possibilità di azione.
Il comportamento legato alla parola verità è credere. Se non le crediamo perde di significato, anzi non esiste.
Credere, però, è un’azione soggettiva, ed è una causa che determina altri comportamenti. Per esempio: crediamo che la montagna sia noiosa, allora andiamo al mare; crediamo che leggere sia faticoso e inutile, allora non leggiamo; crediamo che una persona si sia comportata male, allora non la frequentiamo; crediamo che le idee di altri sono sbagliate, allora non le ascoltiamo.
Ecco, credere ci serve per definire la verità. E forse la soggettività stessa della verità è legata al fatto che il comportamento derivante dalla verità è credere, che è un comportamento (e una scelta) soggettiva; un po’ come dire che la verità non esiste.
Quindi, per ottenere la verità dobbiamo passare necessariamente dalle scelte che facciamo, ovvero dalle cose a cui decidiamo di credere, quasi come un interruttore di acceso o spento: credo o non credo.
E in questo ci aiutano i sensi, le esperienze, la narrazione personale, i processi digitali o analogici, la cultura, la tradizione di famiglia o del territorio. In sostanza crediamo a cose (diverse) che diventano punto di partenza, diventano assunto, da cui poi deriva la verità che di volta in volta ci serve. Qualcosa che si espande sempre di più, diventando sempre più forte e capace di cancellare ogni altra possibilità.

La verità è espansiva.

Mi serve un esempio: vediamo un persona prendere un bicchiere e bere. Possiamo esprimere una verità: quella persona ha bevuto. È una verità, e ne consegue che tutto quello che pensiamo successivamente sarà vero. La verità si espande.
Proviamo a pensare: ha bevuto perché aveva sete; oppure, ha bevuto per non lasciare il bicchiere pieno; o ancora, ha bevuto perché voleva liberare il bicchiere e riempirlo nuovamente … con il vino.
La verità si espande: il semplice comportamento “ha bevuto” diventa causa o effetto di tante possibili cose, e ciò che sceglieremo sarà verità.
Una verità a cui crediamo.
E quella verità diventa per noi, ognuno con la sua, un valore di riferimento, l’elemento che determina tutto il resto.

La verità che non impara dalle storie.

La verità è qualcosa che trova il suo fondamento nel fatto che quello in cui crediamo sia quantomeno possibile: sia verosimile.

Tra vero e verosimile c’è una differenza di significato: possiamo dire che il vero è “ciò che è”, mentre il verosimile è “tutto ciò che potrebbe essere”.

Una differenza che, però, si annulla quando il verosimile diventa verità; ed è una cosa che ci acceca.
Una cosa che dovremmo imparare dalle storie è che ad ogni evento ne possono corrispondere diversi, perché cambia il punto di vista, perché cambiano gli ambiti, perché cambiano gli obiettivi.
Un singolo evento vero, è in grado di generare tanti eventi verosimili, tutti inizialmente con lo stesso valore. Le storie stesse, a pensarci, nascono da un “e se fosse che…”, ovvero nascono da una realtà verosimile, diversa dalla verità a cui abbiamo deciso di credere.
Eppure noi, esseri con un cervello narrativo, assumiamo il fatto che ad una causa corrisponde un solo possibile effetto, quello a cui decidiamo di credere. E da quel momento tutto il resto delle possibilità spariscono. Un po’ deludente in effetti.

Costruttori di verità.

Vi sarà capitato tantissime volte di sentire: “dobbiamo ricostruire la verità”. Vedrete che da oggi ci farete caso.
C’è il tema che la nostra mente è un costruttore di verità; e non perché si diverte, ma per necessità: la verità le serve per comprendere cosa è giusto e cosa è sbagliato, cosa è saggio e cosa non lo è, cosa è pericoloso e cosa non lo è.
Magari, quello che capita è che diverse menti procedono alla propria costruzione in maniera differente; ognuno secondo i propri processi mentali: chi in maniera digitale, chi analogica, chi seguendo un modello di intelligenza (spaziale, logica, interpersonale, ce ne sono diverse …), ma tutti con l’obiettivo di costruire la verità come valore.
E alla fine, la verità deve essere unica.
Per la mente non ci possono essere più verità, perché questo rallenterebbe le scelte, addirittura arrivando a bloccarle.
E non solo: perché la mente ha bisogno di coerenza e ne consegue che se credo ad una verità, che diventa assoluta, non posso accettare anche solo la possibilità di altre possibili verità, renderebbe ciò in cui ho deciso di credere molto più debole, se non addirittura falso.
Se non accetto la possibilità, il mio pensiero non si attiverà mai.

Costruire la verità è compito complesso: devi valutare le diverse informazioni; infine devi verificarle la tua verità perché devi poterla applicare in tutte le situazioni. Ogni volta un processo lungo, impegnativo, anche lento; quasi quasi meglio accettare verità che sono già utilizzate da altri, verità che premiano perché ti fanno sentire di appartenere a qualcosa, verità che non hanno bisogno di essere ragionate perché è sufficiente la fede (che poi vuol dire credere).
Va detto, costruire la verità va bene, è necessario. Ma la verità non è una costruzione perfetta, è complessivamente è utile, ma nei dettagli può riservare delle brutte sorprese.

La necessità di imporre la verità.

Per quanto pensiamo di essere unici, dobbiamo ricordare che non possiamo essere soli; dobbiamo appartenere ad un gruppo. E dobbiamo riscontrare che ciò che pensiamo sia giusto: si, anche la verità.
Solo che molto spesso capita che ci siamo talmente legati ad essa che ci tocca imporla, in tutti i modi di cui siamo capaci.
A volte parliamo, a volte sparliamo; a volte proviamo a ragionare, a volte a sopraffare; a volte ad ascoltare, a volte ad urlare. Già, ma quasi mai a cambiare idea: con la verità cambiare idea non è previsto.
Così però la verità assomiglia tanto ad una galera.

E allora come finisce.

In realtà non lo so con certezza; ho solo una mezz’idea.
Già perché l’unica cosa utile che mi viene in mente è di applicare la nostra capacità di avere dubbi, sperando che questo attivi la curiosità. Certo, il dubbio si manifesta quando ci sono tante, e diverse, possibilità tra cui scegliere; e contemporaneamente, il dubbio è una cosa che la mente vuole risolvere, è fisiologico, è umano. E quello che è umano è la necessità di chiudere il ciclo di un pensiero, con un punto di arrivo che altro non è che la solita verità a cui credere.
Ma se la curiosità si attiva, allora (forse) abbiamo una possibilità, perché la curiosità è una motivazione forte per continuare a farsi domande, esplorare possibilità, ridefinire le cose. E nella curiosità la verità diventa punto di partenza per altre possibilità.
Forse la soluzione è tutta qui, e già, è una curiosa possibilità.

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Beniamino Buonocore
Il bello di un sogno nel cassetto è aprire il cassetto e realizzarlo. La comunicazione e il marketing, in momenti diversi, aiutano a rendere la propria idea di impresa qualcosa di reale e per cui, poi, vale la pena dedicare le proprie energie. Il mio lavoro è aiutare le imprese e i professionisti a raccontare la loro idea, il loro modo di lavorare, il loro modo di essere e, in questo modo, renderle uniche. Mi occupo di comunicazione da tanti anni.

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