giovedì, Aprile 25, 2024

Capitolo uno. Carlos.

Di me ho sempre pensato che sarei diventato uno chef. Mi piace cucinare, mi piace il buon cibo e mi piace l’atmosfera che si respira in cucina. I primi passi li avevo mossi, ero giovane, tanto giovane, ma poi mi sono innamorato di qualcosa di diverso.

Sono andato indietro con la memoria tante volte per cercare di ricordare dove tutto è cominciato e in questo viaggio a ritroso mi fermo sempre alla stessa estate di tantissimi anni fa e a Carlos. Una storia come tante: io e tre amici (praticamente quattro come quei famosi al bar) facemmo amicizia con un chitarrista brasiliano.
Si chiamava Carlos e suonava che era un piacere. Io, invece, suonavo le percussioni, cioè suonavo è una parola grossa, ma il senso era quello, soprattutto era un piacere perché a suonare mi divertivo tanto.

Con Carlos, le giornate al mare e le sere sotto le scale dell’orologio erano uniche, c’era sempre una colonna sonora ad accompagnarti e ogni luogo era adatto per improvvisare un piccolo concerto e cantare tutti insieme. Non c’erano i Social, le chat o il telefono cellulare. Stare insieme era un’esperienza fisica, legata ai sensi (tutti e otto).
Un confronto continuo fra te, gli altri e l’ambiente che ci circondava. La musica era un collante, un aggregatore, un linguaggio e un’esperienza comune che univa e ti faceva sentire parte di un gruppo.

Un giorno, quasi per caso.
Capitò che senza pensarci dissi: “Organizziamo un concerto con Carlos e portiamoci un sacco di gente“.
Probabilmente, quello fu il bivio della mia vita: se mi avessero detto di no la cosa sarebbe finita li e magari oggi farei lo chef. Invece mi dissero: “si facciamolo”.
Per inciso, io amo cucinare e ancora lo faccio volentieri. Magari sarà la mia seconda vita, o la pensione.

Trovare dove fare la serata fu semplice, anche perché l’idea di una festa brasiliana piaceva tanto e a tutti. Poi venne il difficile perché dovevamo convincere le persone a venire alla nostra festa e pagare il biglietto.
Quel giorno, quando rivedo la mia storia, penso di aver cominciato a ragionare in termini di marketing e di comunicazione. Senza averne consapevolezza, intuii che era importante realizzare qualcosa che gli altri potessero apprezzare, che era importante raccontargliela con un linguaggio comprensibile e che era importante andare li dove le persone, a cui volevi proporre la tua idea, si radunavano. E quest’idea non l’ho più abbandonata. Ancora oggi, questa è l’essenza del mio modo di lavorare.

Allora, come oggi, il difficile non è avere l’idea, ma realizzarla e convincere le altre persone che è una bella idea e che vale la pena parteciparvi. Parliamo di più di trent’anni fa, tanto tempo. Eppure le cose non sono cambiate, e magari non sono cambiato io e sono rimasto quello stesso ragazzo. Anzi, quasi quasi, decido di pensarla così.

La festa andò alla grande, le persone si erano innamorate della nostra allegria, della nostra idea di divertimento. Avevamo parlato con ognuno di loro e li avevamo convinti che la nostra festa valeva la loro attenzione, il loro tempo e che valeva la pena spendere i soldi per il biglietto.
Parlammo con loro come oggi facciamo attraverso la comunicazione offline, sul web e sui social. Che poi, a volerla dire tutta, avevamo anche noi il nostro Social Network: era una grande spiaggia, si chiamava Cava dell’Isola; oggi è più piccola, ma è ancora li.

La nostra campagna di comunicazione (oggi si chiama così) aveva due cose chiare.
Il pubblico (ok, si, oggi ancora in molti lo chiamano target) e il luogo dove potevamo incontrare il nostro pubblico: la bellissima spiaggia di Cava del l’isola. Avevamo una strategia semplicissima: andavamo anche noi in spiaggia e ci fermavamo a parlare con tutti. La scusa era dargli il nostro volantino (rigorosamente disegnato a mano e fotocopiato), ma la verità è che ci piaceva metterci a raccontare la nostra festa e lo facevamo con chiunque. Poi con noi c’era Carlos che suonava e scherzava con tutti. Della serie, un assaggio del prodotto in omaggio.
La festa non solo andò bene, ma noi diventammo molto popolari.

La sensazione più bella fu vivere la forza che un gruppo può esprimere nel realizzare qualcosa insieme, qualcosa che ti gratifica come persona.
Oggi si ragiona di obiettivi, parolone utilizzato da molti come se fosse l’oggetto magico, con cui realizzi i tuoi progetti. Noi non avevamo un’obiettivo, non sapevamo neanche definirlo. Non erano i soldi, non era il successo personale. E anche il successo che avrebbe potuto avere la festa passò velocemente in secondo piano. Avevamo un motivo per impegnarci nella realizzazione delle festa, ed era un motivo legato a chi eravamo come persone: noi amavamo stare insieme, il divertimento, l’allegria delle giornate veniva da quello. Non avevamo bisogno di soldi (che comunque non avevamo), non avevamo bisogno di vestirci alla moda. Noi giocavamo, ci prendevamo in giro, ci confidavamo segreti, facevamo le cose insieme e da soli ci annoiavamo.
Ecco, se oggi qualcuno mi parla di obiettivi, di risultati da raggiungere per poi passare al prossimo risultato sempre più ambizioso, in una continua rincorsa al tempo, io sorrido. Perché quello che so, e che ho visto funzionare, è che la motivazione è la cosa più importante. Quella che veramente ti fa appassionare alle cose, che non ti fa sentire la fatica, quella che ti fa compagnia quando pensi di non essere in grado di fare le cose.
L’universo me lo ha insegnato, gli studi me lo hanno confermato.
E la cosa bella è che ho capito che vale per me, vale per le persone, e vale quando vuoi fare impresa e avere un brand che sia per le persone.

Spesso mi ricordo di Carlos, di quei compagni estivi.
Alcuni di loro fanno parte ancora della mia vita e ci sentiamo anche se siamo in città diverse.
Mi ricordo di quanto è importante pensare che quando comunichi ciò che dici non è sempre uguale, ma cambia ed è influenzato da tantissimi fattori.
A cominciare dalla festa brasiliana, dove in tanti sono venuti, non per la musica brasiliana, ma per la voglia di divertimento che gli avevamo promesso. Abbiamo mantenuto la promessa, per loro e per noi che avevamo un amico speciale che fu parte della nostra vita, per quella sola estate.

Se vuoi puoi condividere questo articolo, magari con un tuo commento.

Beniamino Buonocore
Il bello di un sogno nel cassetto è aprire il cassetto e realizzarlo. La comunicazione e il marketing, in momenti diversi, aiutano a rendere la propria idea di impresa qualcosa di reale e per cui, poi, vale la pena dedicare le proprie energie. Il mio lavoro è aiutare le imprese e i professionisti a raccontare la loro idea, il loro modo di lavorare, il loro modo di essere e, in questo modo, renderle uniche. Mi occupo di comunicazione da tanti anni.

Gli altri capitoli