giovedì, Aprile 25, 2024

Quanti modi giusti per scrivere.

Tra tanti modi di fare le cose, ognuno di noi sceglie quello giusto; e così accade che per fare una cosa esistano tanti (e diversi) modi giusti di fare.

Io ho il mio modo giusto di scrivere, e vale per qualsiasi cosa scrivo, per me o per lavoro (e comincio a sospettare che è un metodo che utilizzo anche solo per dare forma ai pensieri); comunque, sono 5 semplici passaggi; ma intendiamoci: l’originalità la trovate in come deciderete di metterli in pratica. Insomma, a copiarli e basta, rischiano di perdere di efficacia.
Dai, cominciamo:

Numero uno: appunti; scritti ovunque, anche se ho i miei quaderni.

Ho appunti ovunque e, a volte, li perdo, ma perché non mi ricordo in quale quaderno li ho scritti.
Poi ho anche gli appunti che girovagano per la mente. A volte vorrei prenderli e scriverli, ma sono sfuggenti; corrono da una parte all’altra, e non riesco a fermarli per trasformarli in parole scritte. In questi casi, ho capito che conviene aspettare che si stanchino. Ad un certo punto decideranno che è il momento di mostrarsi, e si fermeranno.
Gli appunti sono importanti, sono frammenti di pensieri che aspettano che il tempo dia loro un significato.
Sono un po’ come piccoli pezzi di spago, conservati in un vecchio cassetto: inutili da soli, ma che se riesci ad annodarli insieme, allora possono diventare una lunga corda e diventare utili.
A proposito, gli appunti possono anche sembraci senza senso, e possiamo anche non capirli; ma se diamo loro un po’ fiducia, hanno sempre qualcosa da dirci (o da farci dire).

Numero due: far fluire i pensieri dalla testa alla carta, passando per la punta di una matita (o di una stilo).

È importante, perché è una cosa che ci costringe a mettere in fila i pensieri e le idee, e ci costringe a dare senso alle cose, e a renderle concrete. Un pensiero vagante e solitario è inutile; ma se lo fai scorrere verso la parola scritta, assume concretezza, diventa qualcosa di tangibile, qualcosa che può essere messo in pratica.
A pensarci, è come l’acqua di un grande lago che prende una via: diventa prima ruscello, poi fiume, e infine arriva al mare; può essere un viaggio tranquillo, o turbolento. Certo è un viaggio inesorabile.

Numero tre: scegliere le parole.

E le parole vanno scelte, con cura, e una ad una, perché ognuna di loro è un frammento dei nostri pensieri che prende forma, e che li rende visibili e comprensibili agli altri.
Mettiamola così: ogni parola deve essere scelta perché rappresenta qualcosa di noi stessi: chi siamo, la nostra personalità. E non mi pare sia saggio lasciare una cosa così importante al caso.
Assomiglia alla scelta dell’outfit giusto, dove ogni singolo capo che scegliamo di indossare ha un significato. Spesso impieghiamo ore, anche giorni, per decidere cosa indosseremo. Lo facciamo perché ogni singola scelta racconta qualcosa di noi agli altri, spesso qualcosa di importante.

Le parole con cui diamo forma ai nostri pensieri hanno lo stesso ruolo, e meritano la stessa attenzione. E dobbiamo averne tante a disposizione.
Lo abbiamo sentito spesso: “più parole hai nella testa, più hai la capacità di esprimere le tue idee.” E le parole possiamo impararle. Esse sono custodite ovunque: sono nei libri (ovvio … allora leggiamo), ma sono anche intorno a noi. Possiamo trovarle se impariamo l’arte e il piacere dell’ascolto; possiamo trovarle pretendendo che le canzoni raccontino qualcosa di interessante; possiamo trovarle al cinema. C’è solo una condizione: dobbiamo essere disponibile ad ascoltarle e a farle entrare. Sono ovunque, e se le prendiamo con noi, saranno contente di aiutarci.
Poi, c’è il tema che se accettiamo il fatto che le parole sono importanti, e che vanno scelte con cura, allora dobbiamo anche proteggerle. È semplice da fare, basta dare loro un ambito; vabbè ne parlo qui.

Numero quattro: revisionare, che vuol dire avere il coraggio di dire “no” a noi stessi.

Ed è la parte più complicata. Ma c’è un trucco, e lo vediamo dopo.
Ora andiamo con ordine: revisionare vuol dire allontanarci dal testo, e diventare spettatori dei nostri pensieri, che si sono trasformati in parole. Spesso nei pensieri c’è un’allegra confusione, sono un campo di fiori che cresce spontaneamente, e c’è di tutto.
Finché siamo noi a vivere quell’allegria, tutto va bene, siamo a casa.
Poi però dobbiamo ricordarci che la scrittura è dare ordine ai pensieri, renderli coerenti; renderli comprensibili, più o meno, a tutti. E in quei “tutti” ci siamo anche noi.
La revisione ci serve a questo: a fare in modo che ciò che abbiamo voluto dire attraverso le parole, sia chiaro, e che esprima quella particolare cosa, e non altro.
E allora capita che certe parole dobbiamo toglierle, che certi pensieri dobbiamo semplificarli, o che dobbiamo modificare la struttura e la sintassi. E la complessità sta nel fatto che ognuno di quegli elementi che tagliamo o modifichiamo è parte di noi. Dobbiamo rinunciarci, è necessario, ma è triste.

Quando scriviamo è un po’ come essere in un campo di mille fiori diversi, che cogliamo singolarmente immaginandoli insieme quando diventeranno un mazzo.
Dal nostro punto di vista, abbiamo scelto dei fiori bellissimi, i più colorati, appariscenti, quelli dalle forme più originali.
Poi, vedendoli tutti insieme, ci accorgiamo che alcuni fiori non ci stanno, che alcuni fiori distraggono, che alcuni sono troppo grandi e alcuni troppo piccoli. La revisione è così: è decidere che alcune parole, anche se bellissime, in quel contesto non ci stanno proprio; è decidere che alcune parole sono comprensibili per noi, ma possono risultare poco chiare a chi le leggerà; è decidere che una frase, anche se è parte di noi, dobbiamo rimetterla tra i pensieri, perché scritta ancora non ha trovato la sua forma.
Ma c’è quel famoso trucco che dicevamo: nessun pensiero deve essere buttato via, e quindi nessuna parola deve essere persa. Nella revisione, quello che facciamo è decidere che certe parole, certe strutture, vengono messe da parte, e che ci saranno altri momenti per utilizzarle.
La revisione trasforma le cose, ma non le distrugge: e spesso la revisione ci dà l’ispirazione per scrivere altre cose; ci dà l’occasione per rielaborare pensieri che pensavamo essere definitivi e intoccabili. Spesso, ed è la cosa più bella, ci mostra che possiamo cambiare idea, e che possiamo anche vedere le cose in maniera diversa. I singoli fiori che non usiamo, anche se colti, possono tornare nel campo, e attendere il loro turno.

Numero cinque: donare quello che abbiamo scritto all’universo, e passare oltre, ad altri pensieri.

Se la revisione è la parte più complicata, la pubblicazione è la parte che richiede coraggio. Si certo, è importante scrivere per noi stessi, l’importante è che non sia una scusa per non pubblicare, ovvero per non mostrarci.
Possiamo pubblicare ovunque: dal diario personale, ai social; il senso è che la scrittura è mostrare i nostri pensieri e donarli agli altri, che possono farci quello che vogliono. Finchè ci sarà anche una sola persona che utilizzerà quello che abbiamo da dire, allora sarà valsa la pena di averlo fatto.
E c’è un’altra cosa importante: pubblicare vuol dire andare avanti con i pensieri, e smettere di rimuginare sempre sulle stesse cose. Vuol dire confrontarsi con le cose che cambiano, e cambiare con loro; e significa avere anche il coraggio di cambiare idea se, e quando è necessario.
Insomma dai, la cosa è divertente.

Ora, se vi va, usate questo metodo, ma attenzione.

E lo ridico: queste sono cinque cose che faccio io, sono tappe con cui mi trovo bene e che ho trasformato in regole, anche perché sono pigro … ma questo è un pensiero che si è intrufolato nel discorso … e diciamo che non è per tutti.
Magari, potrà capitare, che continuando a scrivere questo percorso possa cambiare, e semmai dovesse accadere, beh vi avviserò.

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Beniamino Buonocore
Il bello di un sogno nel cassetto è aprire il cassetto e realizzarlo. La comunicazione e il marketing, in momenti diversi, aiutano a rendere la propria idea di impresa qualcosa di reale e per cui, poi, vale la pena dedicare le proprie energie. Il mio lavoro è aiutare le imprese e i professionisti a raccontare la loro idea, il loro modo di lavorare, il loro modo di essere e, in questo modo, renderle uniche. Mi occupo di comunicazione da tanti anni.

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